del 17 settembre 2018
Ricordi dell’Oratorio delle origini nel 90° anniversario dell’arrivo dei Salesiani a San Donà
Incontrare Angelino Battistella, custode della memoria fotografica di San Donà, vuol dire immergersi nella storia locale per coglierne la bellezza dei dettagli. Un lavoro minuzioso, fatto con la lente alla mano, per permettere al vissuto di chi ci ha preceduti di forare la nostra quotidianità. Ben 13 i libri pubblicati dal sig. Battistella, che superato il traguardo dei 90 anni, è ancora impegnato a ricercare e collezionare scatti artistici per “impedire - come egli stesso afferma - “ai tempi moderni d’inghiottire i ricordi del passato”. Fra questi, quelli legati all’Oratorio frequentato da bambino.
Anche Filiberto, cooperatore salesiano della prima ora, condivide con il fratello la passione per la fotografia. Mi racconta subito, quasi a volersi liberare di un peso ancora presente, che questo interesse trova radici nei giochi dell’infanzia quando, mosso dall’incoscienza dell’età, era solito sottrarre le lastre fotografiche al padre Italvanto, professionista premiato con medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di Roma, per togliere la gelatina d’argento dal supporto di vetro, rendendo così impossibile la produzione di nuove stampe.
Sul tavolo una scatola di cartone con tante foto alla rinfusa, copie e originali, immortalano il volto di una città che a partire dalla distruzione della Grande Guerra ha spesso modificato (e non sempre in meglio!) la sua fisionomia. Incuriosita, chiedo:
Lei che è un appassionato custode della documentazione fotografica di San Donà, può dirci come appariva la zona che gravitava intorno all’Oratorio prima del secondo conflitto?
“Alcuni ricordi li devo ripescare dal racconto degli anziani, per gli altri mi affiderò alla mia memoria di ragazzo e alla forza evocatrice delle immagini” - esordisce Angelino. E così, rovistando tra le foto, individua alcuni riferimenti importanti che, nel dialogo con il fratello, mi forniscono il quadro generale della situazione: di fronte all’Oratorio appena costruito tutto appariva spoglio e un po’ mesto. Le case più belle andavano a morire a ridosso del vecchio cimitero dove, nella fascia attigua all’Oratorio, riposavano i corpi dei soldati austriaci che avevano sacrificato la vita sulle sponde del Piave.
Davanti all’imponente edificio, un fossato profondo ne accompagnava il confine fino all’altezza del “casermon”, ovvero la caserma San Marco che dava il nome anche alla strada (ora via Eraclea).
Contrapposto e parallelo all’ala vecchia dell’Oratorio, un piccolo fossato raccoglieva lo scolo anche dei rifiuti liquidi dei cavalli, “parcheggiati” insieme ai carretti e ai calessi nello stallo poco distante. Altre abitazioni ad un piano, come quella della nonna dei fratelli Battistella, o semplici baracche, erano accessibili per mezzo di un ponticello precario. Non avendo l’acqua corrente, i proprietari se ne approvvigionavano all’Oratorio, attingendo ai rubinetti posti a ridosso del porticato. Per i Salesiani, anche questo era un modo per mettersi a servizio dei tanti ragazzi bisognosi che quotidianamente incontravano ed educavano alla fede, alla musica e al teatro.
Siamo verso la metà degli anni Trenta, i ragazzi accorrevano a flotte all’Oratorio. Capitava che saltellando al di qua e al di là del fossato, qualcuno cadesse dentro l’acqua maleodorante dello scolo. In questo caso, una sciacquata veloce in cortile permetteva l’inizio del gioco.
Visto che abbiamo varcato il portone dell’Oratorio, vi va di condividere qualche altro ricordo? Quale salesiano della vostra infanzia ha lasciato in voi un ricordo profondo?
“Primo fra tutti don Zaio". Dal confronto tra i due fratelli ne emerge una descrizione sommaria: era un salesiano anziano, di statura media, magro, dignitoso nel portamento pur con la veste consunta, con quell’aria mistica che lo rendeva simile ad un santo. “Si avvicinava a noi ragazzi con dolcezza - continua Angelino - allungandoci un pezzo di liquirizia che teneva sempre arrotolata in tasca (violando ogni norma igienica, ma a quei tempi…). Noi ci aggrappavamo alla sua veste proprio come i ragazzi di Valdocco facevano con don Bosco. Ci parlava della noccioline, ci raccontava aneddoti del Santo che aveva conosciuto da ragazzo, anche se noi non vi prestavamo grande attenzione perché il nostro interesse andava soprattutto al gioco, al divertimento, all’allegria. Ricordo che concludeva ogni racconto con una piccola morale e la raccomandazione di continuare a frequentare l’oratorio. Collezionava santini per distribuirli ai ragazzi, a me era toccato quello di san Lino papa, visto che allora tutti mi chiamavano Lino”.
“Mi ricordo del funerale - interviene Filiberto - sulla sua tomba (nella sistemazione provvisoria) avevano posto il cappello e la stola”.
“Ti ricordi delle marionette di don Guglielmo Zanuso?” - chiede d’un tratto al fratello.
“Certo! Le scolpiva con maestria, le colorava e le vestiva con costumi adeguati ai personaggi da interpretare, poi le faceva muovere all’interno di un teatrino azionando dei fili con l’aiuto di qualche ragazzo. Era abile nel cambiar voce tanto che amava farlo anche in cortile”.
Filiberto ricorda per associazione che don Farina, direttore di quegli anni, insegnava ai ragazzi a pregare con le giuste pause e la corretta intonazione, cercando di mitigare la cantilena così accentuata data dalla cadenza dialettale (nessuno di loro era abituato a parlare in italiano!).
Sorrido al pensiero che quel prete minuto dalla fronte “spaziosa” ed il soprabito lungo e pesante, sia, a tutt’oggi, il più giovane direttore che il nostro Oratorio abbia mai avuto.
Non staccherei più gli occhi da quelle vecchie foto, ormai sparse alla rinfusa sul tavolo. Ma la mia mente sta già vagando lontano: in quello sfondo monocromatico riesco a cogliere in germe la bellezza dell’oggi: spariscono d’un colpo zoccoli e tonache scure, le banderuole acquistano vivacità cromatica, il clima si fa festoso per le attività che stanno prendendo avvio. E’ gioia che si rinnova, frutto di un lavoro faticoso, costante e appassionato disteso in 90 anni di presenza.
Non mi resta che ringraziare gli ospiti per aver riportato alla luce preziosi “fotogrammi” di una storia che continua a sedurre, a coinvolgere e ad interpellarci. Ed è proprio per questo che, in chiusura, è forse doveroso chiederci: che cosa ci può insegnare questa storia attraverso i suoi piccoli aneddoti?
A ciascun lettore la sfida e la fatica della risposta.
Autore: Wally Perissinotto
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