del 13 marzo 2021
Riscopriamo la bellezza di “una Pasqua che ammicca attraverso segni troppo frettolosamente confinati in soffitta”
Ci sono tradizioni che vale la pena recuperare, specie se escono dalla penna ricercata, elegante e fantasiosa di uno scrittore di talento come Luisito Bianchi.
Nella sua raccolta “C’era una volta Pasqua nel mio paese”, l’autore non esita ad aprire i cassetti della memoria per rivisitare luoghi e volti della sua infanzia e far rivivere, seguendo pensieri leggiadri, alcuni personaggi secondari che abitano quelle pagine dell’Evangelo che rimandano alla Passione. Un libro scritto per i ragazzi, ma che sa toccare le corde adulte di ogni cuore.
Eccone un assaggio. Buona lettura!
“I mestieri di pasqua! Era come se la luna, che nelle prime notti della settimana santa si dava le ultime lisciate per apparire tutta tonda all’appuntamento con la primavera, fosse entrata nella casa a far luccicare i candelieri d’ottone sul camino, i pomelli delle maniglie e del paracenere, i tegami di rame appesi gerarchicamente sulla parete di fronte al camino, e a stendere una mano di pace sui pavimenti sui muri.
E ci voleva tutta la settimana perché questo avvenisse. La casa nuova che usciva dai mestieri di pasqua, infatti, era ultimata solo il sabato santo, qualche ora prima che l’arciprete in cotta stola bianca, con lacuna tirata anch’essa a lucido dal barbiere, accompagnato da un paio di chierichetti con l’aspersorio e la borsa delle elemosine, e dal sagrestano con la cesta delle uova, che nessuno, a vederlo in sottana coi risvolti rossi e in cotta, avrebbe detto un calzolaio, entrasse a benedirla.
Si cominciava il lunedì santo, dopo che mia madre aveva deposto nei cassetti, rinfoderati ogni anno con carta fiorata, la biancheria del grande bucato primaverile. Le finestre della casa che davano a mezzogiorno venivano stipate di materassi perché tutto il sole disponibile ne scacciasse la retroguardia dell’inverno che s’era annidata fra le piume e la lana.
Poi era la volta dei soffitti a travi cheppia madre riservava subito dopo il pranzo del martedì santo perché io, ritornato da scuola e in attesa di riprenderla alle due del pomeriggio, l’aiutassi puntellando coi piedi la scaletta che le permetteva di raggiungere, con la scopa avvolta in stracci, i punti più difficili e intricati fra una trave e l’altra.
Il mercoledì era la volta dei pavimenti con acqua e liscia del bucato primaverile, e con una spruzzata d’acqua di colonia compimento, per quelli dabbasso, che erano ci mattoni cotti; con olioyaglierino per quelli di sopra, pure essi di mattone ma verniciati con una doppia mando rossovermiglio.
Il giovedì era il turno del pollaio e dei rustici perché anche le galline sentissero l’avvicinarsi della pasqua; e io andavo in libera uscita con le catene dei camini…
Il venerdì c’è un buco nella mia memoria dei mestieri di pasqua, perché me ne stavo come incantato a cogliere dalla torre il graffiare del crepitacolo e affacciando a controllare, dopo una velocissima fuga dal cancello dell’aia, i progressi in altezza e larghezza della catasta di fascine di gambi di granoturco che sarebbe diventata, sulla piazza, uno schioppettate falò durante la processione serale del Cristo morto.
Il sabato, poi, era la festa dell’acqua; occhi volti ce li bagnavamo, ai primi botti delle campane slegate, con l’acqua appena portata a casa in una bottiglia riempita al grande mastello di legno che l’arciprete aveva poco prima benedetta al fonte battesimale; e la festa delle uova sode, che mangiavamo dopo esserci bagnati gli occhi, con quei gusci che ci rincresceva buttava tanto erano allegri nei loro colori d’anilina…”
Di volta in volta, l’ambiente dolce e rassicurante del paese sfuma quasi d’incanto in quello più suggestivo abitato da Gesù e dai personaggi minori (uomini, animali, oggetti), che solo Luisito Bianchi sa scoprire per rendere accattivanti anche le pagine più crude della Scrittura.
a cura di Wally Perissinotto
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