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ORATORIO DON BOSCO - San Donà di Piave

La croce: ponte per la vita eterna

del 30 marzo 2024

La riflessione del Direttore, che accompagna gli auguri di tutta la Comunità salesiana, ci invita a riflettere su un passaggio importante del Vangelo di Marco trascinandoci dentro la scena per farci riscoprire protagonisti...

 

C’è una figura che incrociamo ogni anno nella via Crucis. Gli viene dedicata una stazione del percorso che porta al Golgota e alla morte in croce.

Nella via dolorosa di Gerusalemme gli è intitolata una cappella. Quest’uomo che passava, ma non assisteva al macabro e brutale corteo dei condannati, non vede l’ora, probabilmente, di andare a casa. Ma capita l’imprevisto. Quando meno te lo aspetti. I soldati romani devono liberare la strada da UNO che la blocca, è un condannato a morte, che era stato flagellato, quasi a farlo morire, e portava una croce, così pesante da avergli probabilmente rotto la spalla. C’è folla, trambusto e il condannato è già caduto varie volte. Si avvicina un ufficiale e intima a quest’uomo di prendere il patibolo di legno e portarlo. Non ci si può rifiutare, in base alla legge romana che dà diritto ai soldati di costringere chiunque, di qualsiasi rango, a compiere un qualsiasi lavoro. Qui si svela il nome di questo sconosciuto: Simone, padre di Alessandro e Rufo, originario di Cirene, una città della Libia. Quest’uomo che passava per caso si ritrova a portare la croce, il patibolo più crudele che i romani avessero ideato per punire i delinquenti. Un uomo onesto, che si affretta per vivere la Pasqua con il resto della famiglia, bloccato dall'imprevisto: La croce. La sofferenza attraversa la vita quando meno te lo aspetti. La croce pesa sulla propria vita, ma anche sulla vita degli altri.

Mi colpisce il fatto che proprio l’evangelista Marco, così essenziale nei suoi racconti, così sintetico nella narrazione del Vangelo, si sofferma a scrivere nome, provenienza e nome dei figli di chi, sembra per caso, porta la croce del Signore. La tradizione dice che Simone era conosciuto nella prima comunità cristiana, probabilmente ne faceva parte. Colui che passa per caso diventa discepolo. Quei metri, spalla a spalla con il Signore, cosa hanno provocato nella vita di Simone? Portare la croce di Gesù gli ha fatto probabilmente scoprire  una vicinanza, un dono di sé nel sacrificio, un amore senza riserve, che Simone non ha colto nelle parole ma nel modo con cui Gesù saliva il calvario. Gesù, sfinito, sale al Golgota spinto dall’amore per ciascuno di noi, spinto dalla certezza che con il suo patire poteva davvero salvarci.

La vera croce su cui il Signore viene inchiodato è la debolezza, la fragilità, il peccato, il male di ciascun uomo. Il Cireneo scopre che non è lui ad aiutare il Signore, ma è Gesù che lo sta portando dentro un dono di salvezza che non si sarebbe mai aspettato. Tutto questo capita e diventa conversione del cuore. Simone siamo noi, che incontriamo la sofferenza, nostra o altrui, quando meno ce l’aspettiamo. Dalla sofferenza si vuol scappare è naturale, ma se ci passiamo dentro, insieme al Signore, affidando a lui il tragitto e mettendoci sulle sue spalle, scopriamo che il calvario non finisce sulla sommità del colle del Cranio.

La morte non ha l’ultima parola,  Gesù muore in un modo che lascia aperta la speranza per un di più, che non si capisce subito, ma si intravede. Il calvario è il trampolino per la salvezza e per la vita nuova. Sul Calvario Cristo diventa ponte per l’eternità.


La comunità salesiana augura a tutti Buona Pasqua di Risurrezione

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